mercoledì 2 marzo 2016

JAZZ ON A SUMMER'S DAY 1958 - Bert Stern




Il documentario jazzistico più bello mai realizzato.
Conservato nella Biblioteca del Congresso americana come opera di valenza Storica. Un'opera d'arte Filmografica e un documento storico unici.
Il creatore è Bert Stern, all'epoca noto fotografo di moda, ne' regista e nemmeno produttore, ne' lo fu mai ancora dopo questo documentario. Ma neppure era un appassionato di jazz...
L'occasione è il festival del jazz di Newport, con tutto il contorno fascinoso del piccolo stato del Rhode Island, e il colore e calore forniti dal pubblico di appassionati di jazz, che proprio in quegli anni lo sdoganavano da pregiudizi razziali e borghesi, e iniziavano ad affollare i primi festival della storia della musica afro-americana.


Apre le sequenze The Train and The River, eseguito da Jimmy Giuffre, al sax tenore, Bob Brookmeyer al trombone a pistoni, e Jim Hall alla chitarra elettrica.
Un brano che diverrà un po' il simbolo di questo documentario. Nato come brano “sperimentale” in seno alla corrente West Coast e poi destinato a restare un classico. Subito dopo il regista indugia sull'ambiente, le grandi platee con le sedie vuote, signore che passeggiano nei dintorni agghindate da America anni 40, eleganti signorine con cappelli estrosi, soffermandosi su un Gerry Mulligan, che dietro le quinte prova un brano al piano.
Seguono, in concerto, Sonny Stitt e Sal Salvador, seguiti a loro volta da riprese della regata annuale degli yacht, la American’s Cup, che e' un altro degli aspetti inusitati di quest'opera. Vele e spinnaker spiegati, inquadrature del mare controluce, con il bop in sottofondo, sono un connubio sorprendente e inedito.


E all'improvviso ecco Thelonious Monk con Blue Monk, allora composto da poco. La prima cosa tuttavia che salta alla mente pensando a Jazz on a Summer's Day e' l'esibizione seguente, quella di un'Anita O'Day sofisticatissima, sensuale, elegantissima nel suo vestito a tubino nero e guanti bianchi, cappello alla Miss Golightly di Colazione da Tiffany (che sarebbe uscito di li' a non molto). Sweet Georgia Brown,Tea for Two, eseguiti in modo indimenticabile, catturano il pubblico entusiasta.



E l'inusitato non finisce, perché le scene successive vedono un suonatore di violoncello che a torso nudo esegue esercizi al leggìo mentre bambini giocano e si rotolano sui prati verdissimi della cittadina.
George Shearing, con un pezzo accompagnato da bongos, e Dinah Washington con un ottimo All of Me occupano la scena fino alla comparsa di un giovane Gerry Mulligan, con Art Farmer alla tromba, davanti al suggestivo scenario creato da luci rosse e viola.
A questo punto il tocco di scandalo per i puristi del jazz fu rappresentato dalla comparsa del Rock and Roll al festival di Newport. Dopo un blues eseguito dalla mediocre Big Maybelle si esibisce un eccellente Chuck Berry in Sweet Little Sixteen che rompe i ritmi jazzistici. Ma dietro a Chuck, alla batteria, appare un Philly Jo Jones, a ricordarci l'universalità della musica... quindi nessuno scandalo ma solo una parentesi, una finestra su un altro universo.


Indimenticabile anche il Chico Hamilton, ispiratissimo, che suona il timpano con i pomelli, prima di lasciare la scena a Louis. Armstrong, che non poteva ovviamente mancare a Newport. …
Suona con la formazione degli All Stars più scadente, ma il finale della loro esibizione termina in bellezza, con l'entrata in scena di Teagarden. E Big T ci fa dimenticare la mediocrità di quella ultima formazione, eseguendo Rockin' Chair, con l' immancabile duetto con Louis. Immortali.
E' interessante vedere come il pubblico li segue, le smorfie che fa, le espressioni ispirate: il jazz sta entrando ufficialmente come arte nella nostra epoca, nella storia, da quegli anni non vi possono essere dubbi.



Il finale del documentario è commovente, la parte più bella di tutta l'opera, una Mahalia Jackson,vera regina dello spiritual, ispiratissima come fosse nelle sue chiese Battiste, straordinaria come interpretazione e come voce. Il pubblico si infiamma e l'applaude a lungo, e lei, come una bambina, si schermisce, e esce con una battuta spontanea “...mi fate sentire come fossi una star!”
Dall'inizio del documentario, saltuariamente una band su auto cabrio d'epoca scorrazza per Newport, eseguendo repertorio tradizionale, e' condotta dall'oscuro trombonista Roswell Rudd. E in chiusura esegue Maryland my Maryland, un inno del jazz classico, a ricordarci dove nasce il jazz..


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